Asparagi, Carciofi e Fave

Carciofi, asparagi, e fave ci aiuteranno a ritrovare l’appetito e a depurarci con gusto, preparandoci ai doni generosi dell’estate.

Aria di primavera, finalmente! Scuotiamoci di dosso l’inverno, salutiamo con gratitudine quelle verdure che per tutto l’inverno ci hanno rifornito con generosità vitamine e sali minerali preziosi, ma che ormai, per dirla tutta, ci sono venute un po’ a noia… e via, cestino alla mano (niente sacchetti di plastica, per carità!) verso i rinfrescanti mercati dove le primizie costosissime di un mese fa sono diventate le padrone della scena, e vanno raggiungendo prezzi normali.

Avete mai fatto caso a come la natura fornisca, attraverso i suoi prodotti stagionali, i nutrienti giusti nella stagione giusta? Giornate più lunghe, temperature più miti ci invogliano ad abbandonare il letargo invernale, per scrollarci di dosso tossine e colorito spento.

Così nei nostri orti, dai fruttivendoli e poi sulla tavola, si trovano ora tanti prodotti ricchi di vitamine e sostanze depurative, nutrienti ma leggeri, semplici da cucinare.Tra i tanti, ne abbiamo scelti tre, apprezzati dai buongustai, per cui la nostra regione è rinomata. Cercheremo di presentarveli nel migliore dei modi, come vecchi amici ai quali teniamo per la loro affidabilità.

L’ASPARAGO

Vero beniamino dei salutisti e degli amanti della buona tavola, e noto, anche se con alterne fortune, sin dall’antichità, è l’asparago (Asparagus officinalis) di cui si mangiano i turioni, giovani germogli con squame fogliari rudimentali, ricchi di vitamine del gruppo A, C, e del gruppo B, oltre che di fosforo, calcio, magnesio, potassio e fibre.

Dotato di spiccate proprietà diuretiche, in quanto composto al 95% di acqua, ha effetti benefici sui reni e la pelle; conta pochissime kilocalorie per 100 grammi: solo 25.

Molto diffuso soprattutto nell’Italia del Nord, con varietà tipiche sempre più spesso soggette a riconoscimenti e tutele, tra cui, famosissimo da questo punto di vista, il nostro asparago violetto di Albenga che ha ottenuto il presidio Slow Food.

L’ortaggio si raccoglie proprio tra metà marzo e al più tardi i primi di giugno, è una verdura molto tenera, che si avvantaggia di nessuna o di una brevissima cottura: è al suo meglio consumato al vapore o addirittura crudo in pinzimonio.

Il suo alto costo, se paragonato a quello di altri prodotti di stagione, è dovuto alla ristrettezza dell’area di produzione e alla coltivazione manuale, favorendone il sapore, molto fruttato e un po’ amarognolo, simile a quello del grano maturo.

Altre varietà presentano i turioni verdi, più o meno scuri, o addirittura bianchi, se in fase di crescita sono stati riparati dalla luce del sole.

La coltivazione dell’asparago avviene in asparagiaie dal suolo ben drenato, senza ristagni di umidità, che iniziano a produrre dopo 2 – 3 anni dalla semina e continuano per i successivi 10 – 15, compensando la lunga attesa iniziale.

Una volta raccolti, gli asparagi vengono commercializzati in mazzi, che devono presentarsi sodi e turgidi; se non si utilizzano subito è buona abitudine immergerne i gambi in acqua, come si fa per i fiori, in modo da evitare che avvizziscano.

Per cuocerli, dopo averli mondati della base troppo legnosa e lavati, la ricetta tradizionale prevede di immergerne la base in acqua bollente salata, in modo che le punte, più fragili, non siano a diretto contatto con l’acqua bollente.

Come per quasi tutte le verdure sarebbe comunque preferibile cuocerli semplicemente al vapore, per non perdere i valori nutrizionali.

In Liguria è sicuramente preferibile condire gli asparagi con olio, invece che con burro, e per completare il pasto e soddisfare allo stesso tempo gola e salute, invece di accompagnarlo con il tradizionale uovo fritto, provate un uovo fresco in camicia, leggero e saporito.

Per pranzi più impegnativi, gli asparagi possono essere trasformati in raffinate creme e soufflés.

IL CARCIOFO

Altro fiore all’occhiello dell’orticoltura della nostra Italia è il carciofo (Cynara cardunculus scolymus), anch’esso assai diffuso nella piana di Albenga di cui si mangiano i capolini.

L’aspetto “bellicoso”, dovuto alle spine, che caratterizzano soprattutto le varietà prodotte in Liguria e Sardegna, non farebbe affatto sospettare che ci troviamo di fronte a teneri boccioli. Va detto che la pianta del carciofo è assai spettacolare ed è un’ottima idea (come dimostrano tanti raffinatissimi orti – giardini moderni) usarla anche a scopo decorativo, unendo l’utile al dilettevole, svecchiando un po’ l’aspetto compassato dei nostri giardini.

Molto ricco di acqua, carboidrati e fibre, il carciofo apporta anche quantità interessanti di sodio, potassio, fosforo e calcio, vitamina B1 e B3, ed è anche poco calorico (38 kilocalorie per 100 grammi).

Benefico per il fegato perché stimola la secrezione biliare, contrasta la presenza di colesterolo nel sangue. L’attività depurativa a livello biliare ed epatico si manifesta anche sulle affezioni della cute, su artriti e reumatismi.

Il suo ridotto apporto calorico e la sua ricchezza di fibre lo individuano come un buon amico delle diete dimagranti.

Tra le tante varietà diffuse nelle diverse regioni d’Italia (oltre alla Liguria, Sardegna, Toscana e Lazio) con ognuna i propri determinatissimi estimatori, ve ne è una, in Liguria, sconosciuta ai più perché ormai coltivata solo da poche famiglie a Perinaldo nell’Imperiese, diventata oggetto di un Presidio Slow Food.

A differenza del resto della produzione della nostra regione, il carciofo di Perinaldo è senza spine, e caratterizzato da un bel color violetto. La leggenda vuole che esso sia stato introdotto a Perinaldo niente meno che da Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Italia del 1796.

Di certo il carciofo è una di quelle verdure che ci accomunano ai nostri cugini d’Oltralpe, soprattutto a quelli che, abitando nelle regioni confinanti, condividono con noi moltissimi usi culinari.

Anche il carciofo, come l’asparago, si avvantaggia di cotture brevi, che ne preservino la fragranza e la croccantezza; se particolarmente teneri, i carciofi crudi in pinzimonio o in insalata, sono imbattibili.

Essi sono l’ingrediente principale della torta Pasqualina, diffusissima sulle tavole liguri in questo periodo dell’anno, quando gli effetti benefici della primavera si fanno sentire anche sulla produzione di latte (elaborato in quagliata o ricotta) e di uova, che concorrono alla produzione di questa pietanza.

LA FAVA

Parliamo infine di un’altra beniamina delle nostre tavole primaverili, la croccante fava (Faba vicia maior) che sgranocchiamo perlopiù con fette di salame e scaglie di pecorino.

Ricche di proteine (5,2 grammi per 100 grammi da fresca e ben 27,2 grammi da secca) di fibre, vitamine (A, B, C, K, E, PP) e sali minerali, poco calorica (37 Kilocalorie per 100 grammi da fresca) le fave devono presentare i baccelli ben turgidi, lucidi e senza macchie, e rompersi con un bello schiocco.

Nota e apprezzata sin dall’antichità, anche se spesso associata al mondo dell’aldilà, tanto che i romani la consumavano tradizionalmente nei festini funebri e nelle feste lemunari (feste dei morti dell’Antica Roma), la fava, è di origine asiatica, e di popolazione in popolazione ha compiuto un lungo cammino fino alle nostre regioni.

Abituati a consumarle crude, spesso ci dimentichiamo che le fave fresche possono essere anche cotte, in numerose preparazioni in cui vengono solitamente aromatizzate con santoreggia o maggiorana, che ne esaltano il sapore. Il famoso gastronomo francesse Brillat – Savarin (1755 – 1826) era solito sostenere che tale abbinamento era “le manger des dieux” il cibo degli dei, e in effetti, se vi proverete e sbollentare un certo numero di fave, a sbucciarle e pestarle in un mortaio con poco aglio e pecorino e abbondante maggiorana, sarete sfiorati dallo stesso pensiero.

La deliziosa cremina verde, che sembra un parto della nouvelle cuisine, ma che è in realtà una ricetta ligure antica, si spalma sul pane, serve a condire la pasta e, udite udite, può essere servita con un fragrante agnello arrosto… se non siete vegetariani, e se siete più golosi che teneri di cuore.